Un pomeriggio di gennaio di alcuni anni fa, colto dalla pioggia battente, comprai un ombrello in un negozio di Boulevard Saint-Germain. Era un oggetto di scarso valore, legato a un’esigenza immediata e che credevo destinato a fare la fine di tutti gli altri ombrelli passati tra le mie mani: perso in una stazione o rotto al primo refolo di Bora.
Quella passeggiata fu uno degli ultimi giri da flaneur: di lì a poco, avrei salutato Parigi una volta per tutte e avrei voltato pagina, relegando al passato i volti e i sentimenti che mi ci avevano trascinato.
Per tutto questo tempo quell’ombrello ha avuto per me un forte valore simbolico. Ogni volta che mi serviva, aprendolo mi veniva a trovare il ricordo di un vecchio amore, dolce e doloroso allo stesso tempo. Per anni mi sono ritrovato a desiderare che quell’oggetto si rompesse una volta per tutte, costringendomi a cambiarlo, o di trovare la forza di liberarmene una volta per tutte. Invece ha resistito. Almeno tre volte ho creduto di essermene liberato ma è sempre rispuntato: riconsegnato da un passante, ritrovato in un parcheggio o all’ufficio oggetti smarriti.
La settimana scorsa è ripreso a piovere. Ho portato la mano alla tasca dello zaino dove lo tengo ma l’ombrello non era più lì. Mi sono inzuppato per una settimana, non arrendendomi all’idea e sperando che rispuntasse.
Oggi ho deciso che non valeva più la pena di bagnarsi e ho comprato finalmente un ombrello nuovo.