Ammonimento.

Alla robusta quercia che è il mio cuore: gioisci dei tramonti, come se non ne avessi ancora visto uno; accetta di non avere la sottile flessibilità del cipresso; saluta le foglie come la perdita che ti farà vedere di nuovo il cielo.

Bello.

Come il mare inatteso
dopo una curva.
Come il rumore lontano
di un treno.
Come un riflesso dorato
su una pozza.
Come l’unica finestra sveglia
di un palazzo che dorme.

A Cirno – Teognide

Ti ho dato ali per volare sul mare sconfinato
e su tutta la terra, in alto librandoti
facilmente. Nei conviti e in tutti i banchetti sarai presente,
adagiato sulla bocca di molti.
Accompagnati da flauti dal suono acuto, uomini giovani
e per decoro amabili canteranno te, con voce bella
e chiara. E quando, nei recessi dell’oscura terra,
verrai alle lacrimate case dell’Ade,
mai, anche da morto, perderai la fama, ma caro sarai
agli uomini, essendo perenne il nome tuo,
Cirno, per la terra dell’Ellade e per le isole
vagando, varcando lo sterile mare pescoso;
e non seduto sul dorso di cavalli, ma ti condurranno
gli splendidi doni delle Muse coronate di viole.
E per tutti quelli cui sta a cuore, anche tra i posteri,
sarai sempre motivo di canto, finché terra e sole saranno.
Ma io da te non ottengo rispetto, neppure un poco:
neanche fossi un bambinetto, con le parole mi inganni.

La stagione calda.

Un pomeriggio di fine giugno.
La luce obliqua attraverso una persiana chiusa,
verde.

Le lenzuola ai piedi del letto
aggrovigliate,
sotto la tua caviglia.

I miei passi saldati
al parquet caldo.
Il tuo volto riflesso
su uno specchio arrugginito.

Una perla ti scorre sulla
curva della fronte e
le cicale fanno
l’amore.