La parte del forte

E’ incredibile come in meno di un anno la mia vita, le nostre vite siano cambiate. Un anno fa ero un altro me, eravamo un altro noi. Parlavamo incoscienti delle situazioni che vivevamo, inconsapevoli che dopo nemmeno un anno ci saremo ritrovati a sopportare l’ansia di un maledetto test per poter tornare a vivere tranquilli, a respirare aria a pieni polmoni, senza una fitta allo stomaco.

Un anno fa mi parlavi, era una fredda sera all’inizio di marzo. Mi dicevi che eri gay e io annuivo silenzioso con un movimento della testa. Ti dicevo che nulla sarebbe cambiato e invece quanto di quel ieri oggi non è più. Dopo nemmeno due mesi anche io ti parlai, e riscoprimmo una vita che ci era comune. E adesso mi chiami terrorizzato, impaurito, atterrito dalle possibilità di un semplice gioco d’amore. Ti tranquillizzo ma a volte non bastano le parole. E così ti accompagno in ospedale, ti faccio fare la strada che mille volte ho percorso, e cerco il modo per tirarti su, per dimostrarti il mio essere amico, per riportare la quiete in quel mondo caotico che è la tua testa.

E’ difficile la parte di quello forte, ma la indosso per te. Per me è diverso, per me che ho vissuto due persone importanti, che ho fatto sesso con uno sconosciuto, che ho una ferrea razionalità a placare la mia parte emotiva. Ma per te che quel che sente il cuore è l’unico sentore oggi è un giorno di ansia. Tieni la testa alta, affronta la vita, e gioca sapendo a quel che vai incontro. Non farti semplicemente schiaffeggiare, ma immobile non ribellarti: il colpo sarà solo più forte. Sorridi alla vita, e il dolore non avrà più alcun effetto.

Occhi nuovi

Quanti giorni sono passati dall’ultima volta che ho percorso questo spazio, questo non-luogo dei miei ricordi. Cercavo il calore di un abbraccio che mancava, quell’ultima volta. Lo cercavo ed improvvisamente si è materializzato intorno a me. Non posso fare a meno di pensare a quanto la vita riservi delle soprese, quanto giochi con noi appesi a sottilissimi fili, e muova i nostri passi in direzioni rintracciabili solo volgendo lo sguardo indietro.

E’ così che è arrivata la seconda A. della mia vita. Andrea ha due grandi occhi che ti spiazzano. I denti come le perle, e delle labbra capaci di dare baci di velluto che neppure il più grande degli amanti sa concedere. Una valigia ha originato tutto. E’ nata a Berlino la nostra storia, senza che io sapessi di lui e senza che lui sapesse di me. Una valigia troppo pesante, una valigia da svuotare. E poi il mio pianista, costante di ogni mio vissuto, che me lo voleva presentare, chissà cosa aveva in mente. Così Agosto ha portato un nuovo volto, pronto a scomparire per settimane nelle pieghe della routine di sempre e poi spuntare con la naturalità di un fiore a marzo.

Mi ha conquistato l’intraprendenza. La sorpresa di una chiamata che mi annunciava un viaggio di mille chilometri per raggiungere il vento e il mare che mi hanno accolto in ottobre. E i preparativi, e la sensazione allo stomaco di un sentimento che si prepara a scoppiare. E una passeggiata ad una magnifica rocca, dalla quale dominare l’Italia e i Balcani.

Il resto siamo noi, non più io, non più te. La nostra Venezia, che ha osservato discreta i nostri mile baci ad ogni calla, e quel castello completamente bianco, avvolto nella nebbia. Sei entrato dalla porta di servizio, e ti sei accomodato nel posto di onore; senza darti arie l’hai fatto, volteggiando tra le stanze della mente. Da lì osservi e mi indichi la strada, non tardando ad alzarti e a farmi vedere le cose con occhi nuovi…

Complexus novus

Giorni di quiete. L’immobilità della pioggia ha dominato queste ore e come un albero ho allungato i miei rami per cercare di assorbirne il più possibile. Capita così di non affrettarsi sotto le gocce, di passeggiare solitario per queste strade che conservano ancora il fascino di un mondo nuovo.

Sperimento la famiglia. Quella non convenzionale, quella fatta non di sangue ma di scelte. Mi sono addormentato su un letto improvvisato alle quattro di notte, e al mio risveglio osservare la tavola piena di biscotti e tre grosse tazze con il latte caldo ha sciolto il cuore in un abbraccio. Ripenso al mio arrivo, alla ruota delle coincidenze. Ringrazio, non so cosa, forse la vita.

Un nuovo ritorno stanotte. Lascio il mare e queste piazze ricoperte d’oro. Le lascio desiderando ardentemente tornare. Sarà una nuova settimana, nuove sveglie a volte ignorate. Ma sarà anche un incontro: speciale, spontaneo, desiderato. Chissà, magari anche un nuovo tepore, a lungo sognato.

Guardo le foglie cadere

Torno ai miei boschi e guardo le foglie cadere. Si lamentano sotto la pesantezza dei miei passi; stridono, soffocate, al passaggio delle ruote. Senza che avessi il tempo di rendermene conto è arrivato l’inverno, con le sferzate di gelido vento. Il calore di un abbraccio è quello che manca. C’è il vino rosso e c’è il caminetto acceso. Mancano altre due braccia che scaldino il cuore.

Vivo in attesa di una partenza. Il treno ormai è rifugio, dove prendere sonno, cullato dalle rotaie; dove aprire gli occhi e ritrovarsi sospeso in una dimensione di nessun dove.

Qualis nox fuit illa

“Qualis nox fuit illa, di deaeque,
quam mollis torus! Haesimus calentes
et transfudimus hinc et hinc labellis
errantes animas. Valete curae
mortales. Ego sic perire coepi.”

Che notte fu quella. Non avrei mai pensato di conoscere questa nuova città così. Non avrei mai pensato di coprire di baci le strade e i muri di questo porto. Succede per caso. Di salire su un treno e trovare il tuo posto occupato. Di passare la notte in treno, nel dormiveglia. E sottocchi guardare questa figura, i suoi occhi brillare nel buio, sdraiato, aspettando l’alba venire da oriente.

Succede per caso di trovarti sul binario e chiederti la compagnia di una colazione. E poi trovarci a bere una birra la sera. E poi scoprirci a baciare le labbra dell’altro dietro a un antico teatro, spiati dai volti delle maschere greche. Ho salito le scale dell’università con il cuore in una mano, e nell’altra la tua mano. Da lì ho visto tutto, per la prima volta. Ho visto la città che dormiva, le luci delle macchine, e infine il mare. Lì ho gridato “gioia”, al tepore di un tuo abbraccio.

Ritorna – Kavafis

Ritorna spesso e prendimi
ritorna e prendimi o sensazione amata
se la memoria del corpo si desta
e il vecchio spasimo passa nel sangue,
poi che le labbra e la pelle trasalgono
e ancora le mani sembra che tocchino.
Ritorna spesso e prendimi, la notte
poi che le labbra e la pelle trasalgono.

Cadono le foglie

In aula 13 le sedie vuote si riempono. Nuovi volti popolano le lezioni, nuovi piedi calpescano i corridoi. Io vedo tutto dall’alto. Vedo il mio posto, vuoto. E lì, il penultimo sulla sinistra, nella seconda fila. Si proprio quello. C’è una borsa rossa al mio posto. E’ buffo vederti da quassù: non posso scorgere i particolari, solo il movimento della testa, che asseconda il flusso delle parole, e quello della mano, intenta a scrivere.

Mi voltavo, e ti osservavo: mi rapirono i capelli scuri come l’ebano, le tue labbra, che un filo di barba circondava. E mi colpirono i tuoi occhi, che sorridevano guardandomi. Adesso dall’alto vedo il mio posto vuoto, la tua borsa lo occupa. Dal basso non puoi guardarmi, non ti accorgi neppure di me. E’ cominciato un altro anno, e io non ci sono più. Sono altrove, un’altra vita, un altro me.

Mi scrivi che non sei felice, e come frecce cadono le foglie di questo autunno.

Alma Tadema e il mare

Mi risveglio dal torpore degli ultimi mesi. Il sole torna ad affacciarsi, e offro al tepore ogni singolo centimetro di pelle.

Ho aspettato questi ultimi giorni di settembre così come si aspetta un sogno. La fine degli esami e l’inizio di una nuova vita. Adesso il sogno mi si apre davanti, con paure e nuove ansie, ma il vento della novità tinge tutto di nuovi colori. Tra dieci giorni avrò di fronte il mare, gelido. Ho voglia di sedermi e guardarlo, farlo mio e aggiungere quella porzione di mondo alla mia identità. Un altro mare, caldo e occidentale, mi ha lasciato sulla pelle il sale delle mie origini. Non l’ho scelto, è mio dalla nascita. Adesso scelgo, scelgo di essere.